Pagina:Cabala del cavallo Pegaseo con l'aggiunta dell'Asino Cillenico.djvu/61


dialogo ii. 45

dante; lasciando la mia imagine in cielo, a la cui sedia a tempi a tempi de le trasmigrazioni ritornavo, ripordandovi la memoria de le specie, le quali ne l’abitazion corporale avevo acquistate, e quelle medesime, come in una biblioteca, lasciavo là, quando accadeva, ch’io dovessi ritornar a qualche altra terrestre abitazione. De le quali specie memorabili le ultime son quelle, ch’ho cominciato a imbibire a tempo de la vita di Filippo Macedone, dopo che fui ingenerato dal seme di Nicomaco, come si crede. Qua a presso esser stato discepolo d’Aristarco, Platone ed altri, fui promosso col favor di mio padre, ch’era consigliero di Filippo, ad esser pedante d’Alessandro Magno, sotto il quale, ben che erudito molto bene ne le umanistiche scienze, ne le quali ero più illustre che tutti li miei predecessori, entrai in presunzione d’esser filosofo naturale, come è ordinario ne li pedanti d’esser sempre temerari e presuntuosi; e con ciò, per esser estinta la cognizione de la filosofia, morto Socrate, bandito Platone, ed altri in altre maniere dispersi, rimasi io solo lusco intra li ciechi, e facilmente possevo aver riputazion non sol di retorico, politico, logico, ma ancora di filosofo. Cosi, malamente e scioccamente riportando le opinioni de gli antiqui, e di maniera tal sconcia, che nè manco li fanciulli e le insensate vecchie parlarebbono ed intenderebbono, come io introduco quelli galantuomini intendere e parlare, mi venni ad intrudere come riformator di quella disciplina, de la quale io non avevo notizia alcuna. Mi dissi principe de’ Peripatetici, insegnai in Atene nel sottoportico Liceo, dove secondo il lume, e per dir il vero, secondo le tenebre, che regnavano in me, intesi ed insegnai perversamente circa la natura de li principj e sustanza de le cose, delirai più che l’istessa delirazione circa l’essenza de l’anima, nulla possevo comprendere per dritto circa la natura del moto e de l’universo, ed in conclusione son fatto