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dialogo ii. 39
Onor.
Messer sì, così è certissimamente.
Seb.
Dunque costantemente vuoi, che non sia altro in sustanza l’anima de l’uomo e quella de le bestie? e non differiscano, se non in figurazione?
Onor.
Quella de l’uomo è medesima in essenza specifica e generica con quella de le mosche, ostreche marine e piante, e di qual si voglia cosa, che si trove animata, o abbia anima: come non è corpo, che non abbia o più o meno vivace - e perfettamente comunicazion di spirito in sè stesso. Or cotal spirito secondo il fato o providenza, ordine o fortuna, viene a giongersi or ad una specie di corpo, or ad un’altra, e secondo la ragione de la diversità di complessioni e membri viene ad avere diversi gradi e perfezioni d’ingegno ed operazioni. Là onde quel spirito o anima, ch’era ne l’aragna, e vi avea quell’industria e quelli artigli e membra in tal numero, quantità e forma, medesimo, gionto a la prolificazione umana, acquista altra intelligenza, altri instrumenti, attitudini ed atti. Giongo a questo che, se fusse possibile, o in fatto si trovasse, che d’un serpente il capo si formasse e stornasse in figura d’una testa umana, ed il busto crescesse in tanta quantità, quanta può contenersi nel periodo di cotal specie, se gli allargasse la lingua, ampiassero le spalle, se gli ramificassero le braccia e mani, ed al luogo, dov’è terminata la coda, andassero ad ingeminarsi le gambe, intenderebbe, apparirebbe, spirarebbe, parlarebbe, oprarebbe e camminarebbe non altrimenti che l’uomo; per che non sarebbe altro che uomo. Come per il contrario l’uomo non sarebbe altro che serpente, se venisse a contraere come dentro un ceppo le braccia e gambe, e l’ossa tutte concorressero a la formazion d’una spina, s’incolubrasse e prendesse tutte quelle figure de’ membri ed abiti di complessioni. Allora arebbe più o men vivace ingegno, in luogo di parlar sibilarebbe, in luogo di camminare serperebbe, in