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Dialogo I. 35
tivo Areopagita, scrivendo a Caio, afferma, che la ignoranza è una perfettissima scienza; come per l’equivalente volesse dire, che l’asinità è una divinità. Il dotto Agostino molto inebriato di questo divino nettare ne li suoi soliloquj testifica, che la ignoranza più tosto che la scienza ne conduce a Dio, e la scienza più tosto che l’ignoranza ne mette in perdizione. In figura di ciò vuole, ch’il redentor del mondo con le gambe e piedi degli asini fusse entrato in Gerusalemme, significando anagogicamente in questa militante quello che si verifica ne la trionfante cittade; come dice il profeta salmeggiante: Non in fortitudine equi voluntatem habebit, neque in tibiis viri bene placitum erit ei.
Cor.
Supple tu: Sed in fortitudine et tibiis asinae et pulli filii coniugalis.
Saul.
Or per venire a mostrarvi, come non è altro che l’asinità quello con cui possiamo tendere ed avvicinarsi a quell’alta specola, voglio, che comprendiate e sappiate, non esser possibile al mondo miglior contemplazione che quella, che niega ogni scienza ed ogni apprension e giudizio di vero; di maniera, che la somma cognizione è certa stima, che non si può saper nulla e non si sa nulla, e per conseguenza di conoscersi di non posser esser altro che asino e non esser altro che asino: a lo qual scopo giunsero li Socratici, Platonici, Efettici, Pirroniani ed altri simili, che non ebbero l’orecchie tanto picciole, e le labbra tanto delicate, e la coda tanto corta, che non le potessero lor medesimi vedere.
Seb.
Priegoti, Saulino, non procedere oggi ad altro per confirmazion e dechiarazion di questo: per che assai per il presente abbiamo inteso; oltre che vedi esser tempo di cena, e la materia richiede più lungo discorso. Per tanto piacciavi, se così pare anco al Coribante, di rivederci domani per la elucidazione di questo proposito, ed io menarò meco Onorio, il quale si