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che si diede a tutt'uomo ad esaminarne la natura e le cause; e, nel 1588, mentr'essa ancora durava, publicò un trattatello1, nel quale ci ragguaglia che in questi anni la medesima afflisse tutto l'alto milanese ed altri luoghi d'Italia. Nell'accennata stagione del 1586 vi furono altresì frequenti e fitte nebbie. Nell'autunno soffiarono venti di opposta natura, e caddero stemperate piogge: mite fu il verno, freddo e nevoso il marzo e in generale nell'anno 1587 e nella prima metà del successivo si notò un'incostanza straordinaria di tempo, e predominio di umidità e di freddo, e nel luglio giorni di soffocante caldura. Perciò moltissimi li malati e molti i morti, e sì degli uni, come degli altri più li uomini, che le donne. Tuttavia verso l'equinozio della primavera del 1588 molte ebbero difficile parto, e furono poi assalite dal morbo.

Morivano per lo più entro il dodicesimo giorno con turbamento di ventre, o frenesia. Li morti furono più frequenti ne'vecchi e negli adulti, che ne'giovani; laddove guarirono quelli che ebbero abondanti sudori, e più ancora emorragie. Si scorge quindi che trattavasi di una di quelle malatie da infezione, alle quali a norma della prevalenza di alcuni sintomi, ora si dà il nome di febre tifoide, tifo, petechiale, e che a'que tempi chiamavansi febri ardenti, putride, maligne e generalmente pestilenziali.

Le terre più gravemente flagellate furono quelle espo-

  1. De causis, natura, moribus ac curatione pestilentium febrium vulgo, dictarum cum signis, sive pestechiis, perbrevis tractatus et observatio 1587 et 1588 Andreæ Trevisii, medici Gallarati — Mediolani apud Pacificum Pontium, 1588.