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volta del Ticino, si scontrò coi Milanesi tra Busto Arsizio e Borsano e quivi si venne a battaglia1.
I nostri, armati di alabarde, non intimoriscono innanzi alla milizia imperiale coperta di ferro, chè anzi, fatti per così dire più cauti dall’esito infelice della prima mischia, si tengono su le difese. Ormai da qualche ora versavasi sangue, e la vittoria pareva inclinata agl’Imperiali. Ouand’ecco una coorte di magnanimi in numero di 700, detti della morte, deliberati di vincere o morire, si scaglia su’l nimico nell’istante che la sorte de’ Lombardi era quasi decisa, si serra intorno al carroccio, lo difende valorosamente, mette in disordine e in fuga i nemici e fa sonare da ogni lato il grido della vittoria. Quì l’imperatore perdette i suoi più preziosi ornamenti, lo scudo, il vessillo, la croce e la lancia, quì la cassa militare cadde in potere de’ vincitori in un con tutto lo spoglio dei vinti. Notabile fu il numero de’ morti e de’ feriti, e tra i prigionieri si contò il duca Bertoldo, nipote dell’imperatore, ed il fratello dell’arcivescovo di Colonia. Dopo la battaglia alcuni andarono in traccia de’ parenti e de’ compagni feriti o morti, ed i Bustesi non mancarono in quest’occasione di prodigare ogni maniera di pietosi offici a quelli cui speravano di serbare in vita. Poco invero potevano giovare a que’ martiri della libertà, ma la presenza amica, una parola di refrigerio, rese a taluno di loro meno acerbo lo spasimo delle ferite e meno tetra la morte.
Questa vittoria sì rinomata, che consolò l’Italia da tante sventure, dicesi communemente di Legnano, e, secondo il Verri (Capo viii), di Busto Arsizio o di Le-
- ↑ Vedi il Muratori, Annali d’Italia, sotto l’anno 1176