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a que’ tempi, ed anche a qualche secolo addietro, conciossiachè leggiamo in una grida del 25 d’aprile del 1500 l’ordine di farsi tonde e radere la barba.
Il dialetto di Busto ha un impronta particolare, che caratterizza, per così dire, l’indole degli abitanti i quali nella pronunzia tendono ad allungare in fine quasi tutte le parole. Abusano spesso delle sincopi, talvolta anche delle antitesi e delle elisioni. Ora però che si è accresciuto il numero delle famiglie civili, e le relazioni colla città si sono moltiplicate, pare che il dialetto vada a poco a poco perdendo della nativa rozzezza.
La differenza dei dialetti sembra che non provenga se non da una causa fisiologica, cioè da un difetto organico ereditato dalle prime colonie d’uomini, che abitarono i paesi, e da un’abituatezza di famiglia nel pronunziare le parole. Finchè vive un popolo, anche la sua lingua conserva i germi vitali, e con un graduato sviluppo di forze può estendere la sua potenza fin dove Vuole l’idea, attuandola o con appropriarsi elementi stranieri o co ’l naturalizzarli, o finalmente con far rivivere vocaboli proprj già smessi e perduti ne’ codici e libri di vecchia data. Il che avviene anche de’dialetti i quali acquistano vigoria su le bocche del vulgo.
A dare un saggio del dialetto bustese riferirò alcuni brani di una comedia intitolata Mommena bustese e dell’Intermezzo Palina1 e sig. Silvestro composti parte di bei versi italiani, e parte in dialetto da Biagio Bellotti che scrisse anche un intermezzo co’ l titolo Pasquale e Turlesca, ed altre cose di simil genere2.
Ecco una scena della parte IV della Mommena, dove figura un tal Finetto solo, che piange: