Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
86 | rime | (159) |
159
Per esser manco, alta signora, indegno
del don di vostra immensa cortesia,
prima, all’incontro a quella, usar la mia
con tutto il cor volse ’l mie basso ingegno.
Ma visto poi, c’ascendere a quel segno5
propio valor non è c’apra la via,
perdon domanda la mie audacia ria,
e del fallir più saggio ognor divegno.
E veggio ben com’erra s’alcun crede
la grazia, che da voi divina piove,10
pareggi l’opra mia caduca e frale.
L’ingegno, l’arte, la memoria cede:
c’un don celeste non con mille pruove
pagar del suo può già chi è mortale.
160
S’alcun legato è pur dal piacer molto,
come da morte altrui tornare in vita,
qual cosa è che po’ paghi tanta aita,
che renda il debitor libero e sciolto?
E se pur fusse, ne sarebbe tolto5
il soprastar d’una mercé infinita
al ben servito, onde sarie ’mpedita
da l’incontro servire, a quella volto.
Dunche, per tener alta vostra grazia,
donna, sopra ’l mie stato, in me sol bramo10
ingratitudin più che cortesia:
ché dove l’un dell’altro al par si sazia,
non mi sare’ signor quel che tant’amo:
ché ’n parità non cape signoria.