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(134) | rime | 73 |
l’errore e ’l danno dell’umana gente:
quel cor, c’alfin consente5
a’ tuo lusinghi e a’ tuo van diletti,
procaccia all’alma dolorosi guai.
Ben lo sa chi lo sente,
come spesso prometti
altrui la pace e ’l ben che tu non hai10
né debbi aver già mai.
Dunche ha men grazia chi più qua soggiorna:
ché chi men vive più lieve al ciel torna.
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Condotto da molt’anni all’ultim’ore,
tardi conosco, o mondo, i tuo diletti:
la pace che non hai altrui prometti
e quel riposo c’anzi al nascer muore.
La vergogna e ’l timore5
degli anni, c’or prescrive
il ciel, non mi rinnuova
che ’l vecchio e dolce errore,
nel qual chi troppo vive
l’anima ’ncide e nulla al corpo giova.10
Il dico e so per pruova
di me, che ’n ciel quel sol ha miglior sorte
ch’ebbe al suo parto più presso la morte.
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— Beati voi che su nel ciel godete
le lacrime che ’l mondo non ristora,
favvi amor forza ancora,
o pur per morte liberi ne siete?
— La nostra etterna quiete,5