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58 | rime | (101) |
allor che con veloce etterno moto
a noi dette la luce, a te ’l vïaggio.
Felice uccello, che con tal vantaggio5
da noi, t’è Febo e ’l suo bel volto noto,
e più c’al gran veder t’è ancora arroto
volare al poggio, ond’io rovino e caggio.
101
Perché Febo non torce e non distende
d’intorn’ a questo globo freddo e molle
le braccia sua lucenti, el vulgo volle
notte chiamar quel sol che non comprende.
E tant’è debol, che s’alcun accende5
un picciol torchio, in quella parte tolle
la vita dalla notte, e tant’è folle
che l’esca col fucil la squarcia e fende.
E s’egli è pur che qualche cosa sia
cert’è figlia del sol e della terra;10
ché l’un tien l’ombra, e l’altro sol la cria.
Ma sia che vuol, che pur chi la loda erra,
vedova, scura, in tanta gelosia,
c’una lucciola sol gli può far guerra.
102
O notte, o dolce tempo, benché nero,
con pace ogn’ opra sempr’ al fin assalta;
ben vede e ben intende chi t’esalta,
e chi t’onor’ ha l’intelletto intero.
Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero5
che l’umid’ ombra ogni quiet’ appalta,
e dall’infima parte alla più alta
in sogno spesso porti, ov’ire spero.