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54 | rime | (92) |
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Quantunche ’l tempo ne costringa e sproni
ognor con maggior guerra
a rendere alla terra
le membra afflitte, stanche e pellegrine,
non ha per ’ncor fine5
chi l’alma attrista e me fa così lieto.
Né par che men perdoni
a chi ’l cor m’apre e serra,
nell’ore più vicine
e più dubiose d’altro viver quieto;10
ché l’error consueto,
com più m’attempo, ognor più si fa forte.
O dura mia più c’altra crudel sorte!
Tardi orama’ puo’ tormi tanti affanni;
c’un cor che arde e arso è già molt’anni15
torna, se ben l’ammorza la ragione,
non più già cor, ma cenere e carbone.
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Spargendo il senso il troppo ardor cocente
fuor del tuo bello, in alcun altro volto,
men forza ha, signor, molto
qual per più rami alpestro e fier torrente.
Il cor, che del più ardente5
foco più vive, mal s’accorda allora
co’ rari pianti e men caldi sospiri.
L’alma all’error presente
gode c’un di lor mora
per gire al ciel, là dove par c’aspiri.10
La ragione i martiri
fra lor comparte; e fra più salde tempre
s’accordan tutt’a quattro amarti sempre.