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42 | rime | (73) |
acciò ch’i’ abbi, e non già per mie merto,
il desïato mie dolce signore
per sempre nell’indegne e pronte braccia.
73
Mentre del foco son scacciata e priva,
morir m’è forza, ove si vive e campa;
e ’l mie cibo è sol quel c’arde e avvampa,
e di quel c’altri muor, convien ch’i’ viva.
74
I’ piango, i’ ardo, i’ mi consumo, e ’l core
di questo si nutrisce. O dolce sorte!
chi è che viva sol della suo morte,
come fo io d’affanni e di dolore?
Ahi! crudele arcier, tu sai ben l’ore5
da far tranquille l’angosciose e corte
miserie nostre con la tuo man forte;
ché chi vive di morte mai non muore.
75
Egli è pur troppo a rimirarsi intorno
chi con la vista ancide i circustanti
sol per mostrarsi andar diporto attorno.
Egli è pur troppo a chi fa notte il giorno,
scurando il sol co’ vaghi e be’ sembianti,5
aprirgli spesso, e chi con risi e canti
ammuta altrui non esser meno adorno.