Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
26 | rime | (52) |
m’hanno tenuto, ond’il conosco e pruovo,
lontan certo dal vero.
Or con periglio pèro;20
ché ’l breve tempo m’è venuto manco,
né sarie ancor, se s’allungassi, stanco.
I’ vo lasso, oilmè, né so ben dove;
anzi temo, ch’il veggio, e ’l tempo andato
mel mostra, né mi val che gli occhi chiuda.25
Or che ’l tempo la scorza cangia e muda,
la morte e l’alma insieme ognor fan pruove,
la prima e la seconda, del mie stato.
E s’io non sono errato,
(che Dio ’l voglia ch’io sia),30
l’etterna pena mia
nel mal libero inteso oprato vero
veggio, Signor, né so quel ch’io mi spero.
52
S’alcun se stesso al mondo ancider lice,
po’ che per morte al ciel tornar si crede,
sarie ben giusto a chi con tanta fede
vive servendo miser e ’nfelice.
Ma perché l’uom non è come fenice,5
c’alla luce del sol resurge e riede,
la man fo pigra e muovo tardi el piede.
53
Chi di notte cavalca, el dì conviene
c’alcuna volta si riposi e dorma:
così sper’io, che dopo tante pene
ristori ’l mie signor mie vita e forma.
Non dura ’l mal dove non dura ’l bene,5
ma spesso l’un nell’altro si trasforma.