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(46) | rime | 23 |
Amor, c’adopra ogni suo ingegno e lima,5
perch’io non tronchi ’l fil ritorna e riede.
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Ben doverrieno al sospirar mie tanto
esser secco oramai le fonti e ’ fiumi,
s’i’ non gli rinfrescassi col mie pianto.
Così talvolta i nostri etterni lumi,
l’un caldo e l’altro freddo ne ristora,5
acciò che ’l mondo più non si consumi.
E similmente il cor che s’innamora,
quand’el superchio ardor troppo l’accende,
l’umor degli occhi il tempra, che non mora.
La morte e ’l duol, ch’i’ bramo e cerco, rende10
un contento avenir, che non mi lassa
morir; ché chi diletta non offende.
Onde la navicella mie non passa,
com’io vorrei, a vederti a quella riva
che ’l corpo per a tempo di qua lassa.15
Troppo dolor vuol pur ch’i’ campi e viva,
qual più c’altri veloce andando vede,
che dopo gli altri al fin del giorno arriva.
Crudel pietate e spietata mercede
me lasciò vivo, e te da me disciolse,20
rompendo, e non mancando nostra fede,
e la memoria a me non sol non tolse,
. . . . . . . . . . .
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Se ’l mie rozzo martello i duri sassi
forma d’uman aspetto or questo or quello,
dal ministro che ’l guida, iscorge e tiello,
prendendo il moto, va con gli altrui passi.