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22 | rime | (43) |
Tu ’l de’ saper, po’ che tu vien con lei5
a torm’ogni mie pace, ond’io m’adiro;
né vorre’ manco un minimo sospiro,
né men ardente foco chiederei.
— La beltà che tu vedi è ben da quella,
ma cresce poi c’a miglior loco sale,10
se per gli occhi mortali all’alma corre.
Quivi si fa divina, onesta e bella,
com’a sé simil vuol cosa immortale:
questa e non quella agli occhi tuo precorre. —
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La ragion meco si lamenta e dole,
parte ch’i’ spero amando esser felice;
con forti esempli e con vere parole
la mie vergogna mi rammenta e dice:
— Che ne riportera’ dal vivo sole5
altro che morte? e non come fenice. —
Ma poco giova, ché chi cader vuole,
non basta l’altru’ man pront’ e vittrice.
I’ conosco e’ mie danni, e ’l vero intendo;
dall’altra banda albergo un altro core,10
che più m’uccide dove più m’arrendo.
In mezzo di duo mort’ è ’l mie signore:
questa non voglio e questa non comprendo:
così sospeso, el corpo e l’alma muore.
44
Mentre c’alla beltà ch’i’ vidi in prima
appresso l’alma, che per gli occhi vede,
l’immagin dentro cresce, e quella cede
quasi vilmente e senza alcuna stima.