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(301) | rime | 141 |
Signor mie car, ben vi sare’ nïente
per merto a darvi tutto quel ch’i’ sono:
ché ’l debito pagar non è presente.
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Per croce e grazia e per diverse pene
son certo, monsignor, trovarci in cielo;
ma prima c’a l’estremo ultimo anelo,
goderci in terra mi parria pur bene.
Se l’aspra via coi monti e co ’l mar tiene5
l’un da l’altro lontan, lo spirto e ’l zelo
non cura intoppi o di neve o di gelo,
né l’alia del pensier lacci o catene.
Ond’io con esso son sempre con voi,
e piango e parlo del mio morto Urbino,10
che vivo or forse saria costà meco,
com’ebbi già in pensier. Sua morte poi
m’affretta e tira per altro cammino,
dove m’aspetta ad albergar con seco.
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Di più cose s’attristan gli occhi mei,
e ’l cor di tante quant’al mondo sono;
se ’l tuo di te cortese e caro dono
non fussi, della vita che farei?
Del mie tristo uso e dagli esempli rei,5
fra le tenebre folte, dov’i’ sono,
spero aita trovar non che perdono,
c’a chi ti mostri, tal prometter dei.