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(288) | rime | 135 |
conosco or ben com’era d’error carca
e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia.
Gli amorosi pensier, già vani e lieti,
che fien or, s’a duo morte m’avvicino?10
D’una so ’l certo, e l’altra mi minaccia.
Né pinger né scolpir fie più che quieti
l’anima, volta a quell’amor divino
c’aperse, a prender noi, ’n croce le braccia.
286
Gl’infiniti pensier mie d’error pieni,
negli ultim’anni della vita mia,
ristringer si dovrien ’n un sol che sia
guida agli etterni suo giorni sereni.
Ma che poss’io, Signor, s’a me non vieni5
coll’usata ineffabil cortesia?
287
Di giorno in giorno insin da’ mie prim’anni,
Signor, soccorso tu mi fusti e guida,
onde l’anima mia ancor si fida
di doppia aita ne’ mie doppi affanni.
288
Le favole del mondo m’hanno tolto
il tempo dato a contemplare Iddio,
né sol le grazie suo poste in oblio,
ma con lor, più che senza, a peccar volto.
Quel c’altri saggio, me fa cieco e stolto5
e tardi a riconoscer l’error mio;