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118 rime (250)

s’un sol s’appropia quel ch’è dato a tanti.
Ritorna a’ nostri pianti5
il sol degli occhi tuo, che par che schivi
chi del suo dono in tal miseria è nato.
— Deh, non turbate i vostri desir santi,
ché chi di me par che vi spogli e privi,
col gran timor non gode il gran peccato;10
ché degli amanti è men felice stato
quello, ove ’l gran desir gran copia affrena,
c’una miseria di speranza piena.


250

 
     Quante dirne si de’ non si può dire,
ché troppo agli orbi il suo splendor s’accese;
biasmar si può più ’l popol che l’offese,
c’al suo men pregio ogni maggior salire.
     Questo discese a’ merti del fallire5
per l’util nostro, e poi a Dio ascese;
e le porte, che ’l ciel non gli contese,
la patria chiuse al suo giusto desire.
     Ingrata, dico, e della suo fortuna
a suo danno nutrice; ond’è ben segno10
c’a’ più perfetti abonda di più guai.
     Fra mille altre ragion sol ha quest’una:
se par non ebbe il suo exilio indegno,
simil uom né maggior non nacque mai.


251

 
     Nel dolce d’una immensa cortesia,
dell’onor, della vita alcuna offesa
s’asconde e cela spesso, e tanto pesa
che fa men cara la salute mia.