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(249) | rime | 117 |
serve e sopporta e, quando che sia poi,15
spera non quel che puoi:
ché ’l premio del martir non è tra noi.
247
Caro m’è ’l sonno, e più l’esser di sasso,
mentre che ’l danno e la vergogna dura;
non veder, non sentir m’è gran ventura;
però non mi destar, deh, parla basso.
248
Dal ciel discese, e col mortal suo, poi
che visto ebbe l’inferno giusto e ’l pio
ritornò vivo a contemplare Dio,
per dar di tutto il vero lume a noi.
Lucente stella, che co’ raggi suoi5
fe’ chiaro a torto el nido ove nacqu’io,
né sare’ ’l premio tutto ’l mondo rio;
tu sol, che la creasti, esser quel puoi.
Di Dante dico, che mal conosciute
fur l’opre suo da quel popolo ingrato10
che solo a’ iusti manca di salute.
Fuss’io pur lui! c’a tal fortuna nato,
per l’aspro esilio suo, co’ la virtute,
dare’ del mondo il più felice stato.
249
— Per molti, donna, anzi per mille amanti
creata fusti, e d’angelica forma;
or par che ’n ciel si dorma,