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116 | rime | (245) |
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— Se ’l volto di ch’i’ parlo, di costei,
no’ m’avessi negati gli occhi suoi,
Amor, di me qual poi
pruova faresti di più ardente foco,
s’a non veder me’ lei5
co’ suo begli occhi tu m’ardi e non poco?
— La men parte del gioco
ha chi nulla ne perde,
se nel gioir vaneggia ogni desire:
nel sazio non ha loco10
la speme e non rinverde
nel dolce che preschive ogni martire — .
Anzi di lei vo’ dire:
s’a quel c’aspiro suo gran copia cede,
l’alto desir non quieta tuo mercede.15
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Te sola del mie mal contenta veggio,
né d’altro ti richieggio amarti tanto;
non è la pace tua senza il mio pianto,
e la mia morte a te non è ’l mie peggio.
Che s’io colmo e pareggio5
il cor di doglia alla tua voglia altera,
per fuggir questa vita,
qual dispietata aita
m’ancide e strazia e non vuol poi ch’io pera?
Perché ’l morir è corto10
al lungo andar di tua crudeltà fera.
Ma chi patisce a torto
non men pietà che gran iustizia spera.
Così l’alma sincera