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106 | rime | (219) |
219
I’ fui de’ Bracci, e qui mie vita è morte.
Sendo oggi ’l ciel dalla terra diviso,
toccando i’ sol del mondo al paradiso,
anzi per sempre serri le suo porte.
220
Deposto ha qui Cecchin sì nobil salma
per morte, che ’l sol ma’ simil non vide.
Roma ne piange, e ’l ciel si gloria e ride,
che scarca del mortal si gode l’alma.
221
Qui giace il Braccio, e men non si desìa
sepulcro al corpo, a l’alma il sacro ufizio.
Se più che vivo, morto ha degno ospizio
in terra e ’n ciel, morte gli è dolce e pia.
222
Qui stese il Braccio e colse acerbo il frutto
morte, anz’il fior, c’a quindici anni cede.
Sol questo sasso il gode che ’l possiede,
e ’l resto po’ del mondo il piange tutto.