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dialogo terzo | 69 |
errore, che poniamo questa conclusione: da l’apparenza de la quantità del corpo luminoso non possiamo inferire la verità de la sua grandezza, nè di sua distanza; perché, sì come non è medesma ragione del corpo opaco e corpo luminoso, così non
è medesma ragione d’un corpo men luminoso, ed altro più luminoso, ed altro luminosissimo, a ciò possiamo giudicare la grandezza o ver la distanza loro. La mole d’una testa d'uomo a due miglia non si vede; quella molto più piccola di una lucerna, o altra cosa simile a fiamma, si vedrà senza molta
differenza, se pur con differenza, discosta sessanta miglia; come da Otranto di Puglia si veggono al spesso le candele d’Avellona, tra quai paesi tramezza gran tratto del mare ionio. Ognuno, che ha senso e ragione, sa, che, se le lucerne fussero di lume più perspicuo a doppia proporzione, come ora son viste ne la distanza di settanta miglia, senza variar
grandezza, si vedrebbono ne la distanza di cento quaranta miglia; a tripla di ducento e dieci; a quadrupla di ducento ottanta, medesmamente sempre giudicando ne l’altre addizioni di proporzioni e gradi; perchè più presto da la qualità ed intensa virtù de la luce, che da la quantità del corpo accceso, suole mantenersi la ragione del medesmo diametro e mole di corpo. Volete dunque, o saggi ottici ed accorti
perspettivi. che, se io veggo un lume distante cento stadii aver quattro dita di diametro, sarà ragione, che distante cinquanta stadii debbia averne otto, a la distanza di venticinque, sedici, di dodici e mezzo trenta due, e così via discorrendo, sin tanto che vicinissimo venghi ad essere di quella grandezza, che pensate?
Smi. Tanto che secondo il vostro dire, ben che