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dialogo secondo 47

dinario de gli augurii importunamente ne consigliavano a non seguitar quel viaggio. Gli astri, per esserno tutti ricoperti sotto l’oscuro e tenebroso manto, e lasciandoci l’aria caliginosa, ne forzavano al ritorno. Il tempo ne dissuadeva l’andar sì lungi avante, ed esortava a tornar quel pochettino a dietro. Il loco vicino applaudiva benignamente. L’occasione, la quale con una mano ci avea risospinti sin qua, adesso con dui più forti pulsi facea il maggior empito1 del mondo. La stanchezza al fine, non meno ch’una pietra da l’intrinseco principio e natura è mossa verso il centro, ne mostrava il medesmo cammino, e ne fea inchinar verso la destra. Da l’altro canto ne chiamavano le tante fatiche, travagli e disagi, i quali sarebbono stati spesi in vano; ma il vermine de la conscienza diceva: se questo poco di cammino n’ha costato tanto, che non è venticinque passi che sarà di tanta strada, che ne resta? Mejor es perder, que mas perder. Da là ne invitava il desio comune, che aveamo di non defraudar la espettazione di que’ cavalieri e nobili personaggi; da l'altro canto rispondeva il crudo rimorso, che quelli, non avendo avuto cura, nè pensiero di mandar cavallo o battello a gentiluomini in questo tempo, ora ed occasione, non farebbono ancora scrupolo del nostro non andare. Da là eravamo accusati per poco cortesi al fine, o per uomini, che van troppo sul pontiglio, che misurano le cose da i meriti ed ufficii, e fan professione più di ricever cortesia, che di farne, e come villani ed ignobili voler più tosto esser vinti in quella, che vincere; da qua eravamo iscusati, chè dove è forza, non è ragione. Da là ne attraea il particolar interesse

  1. Impeto.