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dialogo secondo | 45 |
ogni passo il fine, sempre spaccando il liquido limo, penetravamo sin a la misura de le ginocchia verso il profondo e tenebroso averno. Qua l’uno non possea dar consiglio a l’altro; non sapevam che dire, ma con un muto silenzio chi sibilava per rabbia, chi faceva un bisbiglio, chi sbruffava con le labbia, chi gittava un suspiro, e si fermava un poco, chi sotto lingua bestemmiava, e perchè gli occhi non ne serviano, i piedi faceano la scorta ai piedi, un cieco era confuso in far più guida a l’altro, tanto che
Qual uom, che giace e piange lungamente
Sul duro letto il pigro andar de l’ore,
Or pietre, or carme, or polve, ed or liquore
Spera ch’uccida il grave mal, che sente:
Ma poi ch’a lungo andar vede il dolente,
Ch’ogni rimedio è vinto dal dolore,
Disperando s’acqueta, e se ben more,
Sdegna, ch’a sua salute altro si tente:
così noi, dopo aver tentato e ritentato, e non vedendo rimedio al nostro male, disperati, senza più studiar e beccarci il cervello in vano, risoluti ne andavamo a guazzo a guazzo per l’alto mar di quella liquida bua, che col suo lento flusso andava del profondo Tamesi a le sponde.
Pru. O bella clausula!
Teo. Tolta ciascun di noi la risoluzione del tragico cieco d’Epicuro:
Dov’ il fatal destin mi guida cieco,
Lasciami andar, e dove il piè mi porta,
Nè per pietà di me venir più meco!
Troverò forse un fosso, un speco, un sasso
Piatoso a trarmi fuor di tanta guerra,
Precipitando in loco cavo e basso.