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dialogo primo 35

di miglior studi ed occupazioni, non mi avvenga quel ch’alla massima parte suole accadere, che in luogo d’aver comprata la dottrina, non m’abbi infettata la mente di perniziose pazzie? come io, che non so nulla, potrò conoscere la differenza di dignità ed indignità, della povertà e ricchezza, di que’ che si stimano, e son stimati savj? Vedo bene, che tutti nascemo ignoranti, credemo facilmente d’essere ignoranti, crescemo e siamo allevati con la disciplina e consuetudine di nostra casa, e non meno noi udiamo biasimare le leggi, li riti, la fede, e li costumi de’ nostri avversari ed alieni da noi, che quelli di noi e di cose nostre. Non meno in noi si piantano per forza di certi naturale nutritura le radici del zelo di cose nostre, che in quelli altri molti e diversi delle sue. Quindi facilmente ha possuto porsi in consuetudine, che i nostri stimino far un sacrificio a li dei, quando aranno oppressi, uccisi, debellati o assassinati li nemici della fè nostra; non meno che quelli altri tutti, quando aran fatto il simile a noi. E non con minor fervore e persuasione di certezza quelli ringraziano idio d’aver quel lume, per il quale si promettono eterna vita, che noi rendiamo grazie di non essere in quella cecità e tenebre, ch'essi sono. A queste persuasioni di religione e fede s’aggiungono le persuasioni di scienze. Io, o per elezione di quei, che mi governaro, padri, e pedagoghi, o per mio capriccio e fantasia, o per fama d’un dottore, non men con satisfazione de l'animo mio, mi stimarò aver guadagnato sotto l’arrogante e fortunata ignoranza d’un cavallo, che qualsivoglia altro sotto un meno ignorante, o pur dotto. Non sai, quanta forza abbia la consuetudine di credere ed esser nodrito da fanciullezza in certe persuasioni, ad impedirne