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32 | la cena de le ceneri |
quali non intendono nè anche quel che significano i titoli de’ libri d’Aristotele. Se volete, ch’io ve ne dimostri uno, ecco costui, al quale avete detto: il vostro
Aristotele, e che a volte a volte ti sfodera un Aristoteles noster, Peripateticorum princeps, un
Plato noster, et ultra.
Pru. Io fo poco conto del vostro conto, niente istimo la vostra stima.
Teo. Di grazia, non interrompete più il nostro discorso!
Smi. Seguite, signor Teofilo!
Teo. Notò, dico, il vostro Aristotele, che, come è la vicissitudine dell’altre cose, così non meno delle opinioni ed effetti diversi: però tanto è aver riguardo alle filosofie per le loro antiquità, quanto voler decidere, se fu prima il giorno, o la notte. Quello dunque, al che doviamo fissar l’occhio della considerazione, è, se noi siamo nel giorno, e la luce della verità è sopra il nostro orizzonte, o vero in quello de gli avversarii nostri antipodi; se siamo noi in tenebre, o ver essi; ed in conclusione, se noi, che diamo principio a rinovar l'antica filosofia, siamo nella mattina, per dar fine alla notte, o pur nella sera, per donar fine al giorno. E questo certamente non è difficile a determinarsi, anco giudicando alla grossa da’ frutti dell’una e l’altra specie di contemplazione. Or veggiamo la differenza tra quelli e questi! Quelli nel viver temperati, nella medicina esperti, nella contemplazione giudiziosi, nella divinazione singolari, nella magia miracolosi, nelle superstizioni providi, nelle leggi osservanti, nella moralità irriprensibili, nella teologia divini, in tutti effetti eroici, come ne mostrano lor prolongate vite, i meno infermi corpi, l’invenzioni altissime, le adempite pronosticazioni, le