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dialogo primo | 27 |
mondi non la denno cercare a presso di noi, l’avendo a presso e dentro di sè, atteso che non più la luna è cielo a noi, che noi a la luna. Così si può tirar a certo miglior proposito quel che disse il Tansillo quasi per certo gioco:
Se non togliete il ben, che v’è da presso,
Come torrete quel, che v’è lontano?
Spregiar il vostro mi par fallo espresso,
4E bramar quel, che sta ne l’altrui mano.
Voi sete quel, ch’abbandonò sè stesso,
La sua sembianza desiando in vano:
Voi sete il veltro, che nel rio trabocca,
8Mentre l’ombra desia di quel ch’ha in bocca.
Lasciate l’ombre, ed abbracciate il vero!
Non cangiate il presente col futuro!
Io d’aver di miglior già non dispero;
12Ma per viver più lieto e più sicuro,
Godo il presente e del futuro spero:
Così doppia dolcezza mi procuro.
Con ciò un solo, ben che solo, può e potrà vincere, ed al fine arà vinto e trionfarà contra l’ignoranza generale; e non è dubbio — se la cosa de’ determinarsi non con la moltitudine di ciechi e sordi testimoni, di convizii e di parole vane, ma con la forza di regolato sentimento, il qual bisogna che conchiuda al fine; perchè in fatto tutti gli orbi non vagliono per uno, che vede, e tutti i stolti non possono servire per un savio.
Rebus, et in sensu, si non est quod fuit ante,
Fac vivas contentus eo, quod tempora praebent!
Judicium populi nunquam contempseris unus,
Ne nulli placeas, dum vis contemnere multos.