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22 | la cena de le ceneri |
ed apertissimamente confessare, ch’al fine si debba conchiudere necessariamente, che più tosto questo globo si muova all’aspetto dell’universo, che sii possibile, che la generalità di tanti corpi innumerabili, de’ quali molti son conosciuti più magnifici, e più grandi, abbia al dispetto de la natura, e ragioni, che con sensibilissimi moti cridano il contrario, conoscere questo per mezzo e base de’ suoi giri ed influssi. Chi dunque sarà sì villano e discortese verso il studio di quest’uomo, ch’avendo posto in obblío quel tanto, ch’ha fatto con esser ordinato da li dei come una aurora, che doveva precedere l’uscita di questo sole dell’antica vera filosofia, per tanti secoli sepolta nelle tenebrose caverne della cieca maligna, proterva ed invida ignoranza, voglia, notandolo per quel, che non ha possuto fare, metterlo nel medesmo numero de la gregaria moltitudine, che discorre, si guida, e si precipita più per il senso de l’orecchio d’una brutale ed ignobile fede, che voglia computarlo tra quei, che col felice ingegno s’han possuto drizzare ed inalzarsi per la fidissima scorta de l’occhio de la divina intelligenza? Or che dirò io del Nolano? Forse per essermi tanto prossimo, quanto io medesmo a me stesso, non mi converrà lodarlo? Certamente uomo ragionevole non sarà, che mi riprenda in ciò, atteso che questo talvolta non solamente conviene, ma è anco necessario, come ben espresse quel terso e colto Tansillo:
Ben ch’ad un uom, che pregio ed onor brama,
Di sè stesso parlar molto sconvegna,
3Perchè la lingua, ov’ il cor teme ed ama,
Non è nel suo parlar di fede degna,
L’esser altrui precon de la sua fama