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mezzi per raggiungere certi fini; così una sera avevamo domandato a John che ci portasse una sedia sul tavolo; ma alla luce non potè che trascinarla dalla parete fino al tavolo; coi soliti picchj domandò l’oscurità; ma per avere l’oscurità completa si dovette andare in un’altra stanza; questa era piccola, sicchè tutte le sedie furono occupate; ecco che uno degli astanti, mio collega ed amico, il quale si era legato insieme ad altri tre ed al medio, si sente spingere per le spalle sul tavolo; non capisce, e si rimette a sedere; poi si tenta di levargli di sotto la sedia; ma egli non capisce, e ripiglia e tien ferma la sedia colle gambe; allora lo pigliano sotto le ascelle, lo fanno alzare, e, appena egli è in piedi, la sedia è sul tavolo. Si noti bene che dietro a lui non c’era posto per un uomo, che il suo vicino di destra era legato con lui, e il suo vicino di sinistra lo tenevo io per mano. Questa era dunque una volontà che aveva un fine, e che pure non era la nostra<ref>Nota alla 2a ed. — La sera del 28 Settembre scorso, a Milano, in casa Finzi, John portò al prof. Richet due rose; ma questo non era come il mettere il medio sul tavolo colla sua sedia; era un atto che, specialmente allo scuro, rassomigliava troppo a un giuoco di prestigio; e il Richet non era uomo da ingannar facilmente; ed era informato che nel Corriere della Sera, un uomo, che non passa per leggiero, aveva denunciato l’Eusapia come una ciurmatrice. Quindi John prese, per allontanare ogni sospetto, parecchie precauzioni, delle quali non comprendemmo lo scopo che alla fine: 1° parlando per mezzo del medio in trance, domandò al Richet che facesse un esame