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PREFAZIONE



Appena l’eco del fatto di Monza si propagò, dovunque fu una ridda dei conservatori di tutte le tinte, dai reazionarii ai radicali, ai repubblicani, ai socialisti, secondati e spinti dalla stampa quotidiana d’ogni colore, per diffamare, denunziare gli anarchici, chiederne la testa per vendicare il loro re, di cui scoprirono e proprio allora le straordinarie virtù.

In mezzo al clamore, alle grida d’ira e di vendetta, in mezzo al mercato di tanti piagnistei pochi furono coloro che non ne rimasero sopraffatti e che mantennero intatto il loro sangue freddo, il loro raziocinio e meno ancora quelli che ebbero il coraggio di analizzare il fatto, di mostrarlo nella sua vera luce e di esprimere la loro simpatia e la loro ammirazione per Gaetano Bresci.

Fra questi pochi, anzi quasi unico, fu Amilcare Cipriani. Egli, appena saputo dell’uccisione di re Umberto, disse ciò che ne pensava su varii giornali francesi, tirandosi addosso l’ira della feroce stampa reazionaria d’Italia, che chiese la sua estradizione; poi pubblicò l’opuscolo: Il Regicidio.

In questo breve scritto, gettato giù con tutta la sincerità d’un vero rivoluzionario, Cipriani ha risposto ai suoi detrattori e dimostrato vittoriosamente, colla storia alla mano, che il regicidio non è un delitto anarchico, ma che è un mezzo di vendetta e di liberazione che risale ai più antichi tempi, di cui perfino nelle scuole si fa l’apologia e che i patriotti che oggi versano tante lagrime e sputano tanto veleno, ieri lo praticarono e quindi lo esaltarono nel loro interesse.

Accennato brevemente alle colpe di Casa Savoia e di re Umberto, rivela la figura di Bresci, mettendone in luce il coraggio, la dignità, la fierezza, dimostrando tutta la sua simpatia pel forte tessitore di Prato che chiama un eroe e a cui dice: bravo!

È confortante, in mezzo a tanti piagnistei più o meno interessati, più o meno codardi, sentire la parola genuina e franca di un uomo rimasto sinceramente rivoluzionario.