Pagina:Brambilla - Sopra le Odi di Orazio tradotte da Mauro Colonnetti.djvu/9

 
 
7


G. C.

Da’ sassi i flutti mormorosi scendono,
Tacciono al cenno (si lor piacque) i venti;
Sgombran le nubi, e chete in mar si stendono
L’onde frementi.

Ei fulge, e cade il mar giù dagli scogli,
Fuggon rotte le nubi, il vento tace,
Ed al cenno divin, posti gli orgogli,
L’onda si giace.

Qui il Colonnetti supera a cielo il Gargallo, ed anche migliora il testo1. Quel mare che cade giù dagli scogli, e quell’onda, che, deposti gli orgogli, si giace son due botte maestre che mi toccano l’ugola. All’opposito il Gargallo coll’aggiunto affettato, e, per così dirlo, bembesco di mormorosi, e col finimento sdrucciolo del terzo verso, che è in contraddizione all’idea significata, cioè del mare che si rabbonaccia e sta, toglie il più bello della strofa latina.

G. C.

Quirin cantar poi deggio, e l’ozïosa
Età di Numa, o di supermi armato
Fasci Tarquinio, o ver la generosa
Morte di Cato?

Chi dopo lor? Quirino padre, o il santo
Numa, o i fasci superbi e la coorte
Del Prisco forse, o di Catone io vanto
La nobil morte?

Nulla appare nella versione del Colonnetti che non sia degno di lode; tutta ritenendo la gravità conveniente a Romolo, a Pompilio, a Catone. Il Gargallo innanzi tratto mi fa stomaco battezzando di ozioso il regno di Numa. Ebbe egli dunque l’impudenza di recare tanta ingiuria a quel buon Sabino, che, come scrive Livio, aggrandì Roma con le arti della pace, non meno che Romolo con quelle della guerra avesse fatto? A quali scuole vennegli appreso tranquillum valere ozioso? Risponderà che siccome ozio usurpasi alcuna volta per quiete, riposo, così ozioso per quieto, tranquillo. Me lo sapeva: ma per usar lodevolmente certe parole, si vuol essere cauto a non generare anfibologie. Se uno, volendo lodarsi al principe della tranquillità che noi Lombardi godiamo di qua dietro a ventitrè anni, gli dicesse: Iddio ci feliciti lungamente nel vostro oziosissimo regno; non correrebbe costui qualche risico? Il Gargallo inoltre dicendo: Tarquinio armato di fasci ne toglie il bello ardimento d’Orazio, che pose per la cosa il simbolo della stessa; i fasci cioè per lo regno. Un uomo armato di fasci dà piuttosto l’imagine d’un littore, che quella d’un re.

G. C.

Grata in tuon più sublime il canto inanima
Mia Musa a celebrar gli Scauri e Attilio,
E al Peno vincitor di sua grand’anima
Prodigo Emilio.

A Regolo, agli Scauri, a Paolo ch’ebbe
Tant’alma, e contor l’africana piena
La prodigò, i grati carmi debbe
L’alta Camena.

Si faccia al vero giustizia. A questo passo la traduzione del Gargallo ha un non so che di più vivo, e in ispecialità la frase inanimar il canto è molto briosa. Il secondo verso, e il latinismo Peno sono durezze insoffribili. Quella del Colonnetti è assai più finita; e, se non ci avesse, per così dire, spezzato il concetto risguardante il console Emilio, finitissima.