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Coll’usata eleganza, armonia e sugosità finisce l’ode il signor Colonnetti; coll’usata disavvenentezza e scabrosità la finisce il Gargallo, inacquandola senza modo. E nota il bellissimo granchio a secco da lui preso nell’interpretazione dell’ultimo verso latino: Desine Magna modis tenuare parvis. Lo vedi? Egli con le parole: Non è da te menomare alti subbietti in tenui modi dice proprio il contrario di ciò che Orazio ha voluto dire; il quale prega la Musa a far punto, perchè ella sviliva le parole divine. E qui fo punto ancor io. I ragionati confronti basteranno a provare come l’antica versione sia vinta dalla novella; alla quale mentre noi promettiamo una vita durevole e chiara, pregherem la Fortuna acciò che non canti l’esequie nè pure all’altra, finchè l’autor suo, letterato di molto nome, oda le adulazioni di quegli spiritocchi2 che per paura de’ vivi non sogliono dir il vero che a’ trapassati. Pigliamo intanto allegrezza, o mio buon Giovanni, che lo studio dell’antica letteratura sia continuo ed acceso negl’ingegni più eletti; e stiamo a vedere che cosa faranno gli oracoli della nuova; i quali finora non han donato l’Italia (miseria suprema e innegabile) d’un sol libro che possa infuturar le sue lodi nella posterità. Rimanti con Dio; e amami, come fai.

Di Como a’ dì 3 febbraio, 1838.

IL FINE.