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voglia dir voci messe insieme, adunate nella sua mente, ovver grate ed accette. Da ultimo nota meco, o Giovanni. Con arte grandissima Orazio fa profferire a Giunone, innanzi ogni altra cosa, il nome di quella città che le avea cagionato rabbia ed affanni. Troia, quando ella parlava, non era più; ma comincia il suo parlamento da Troia, come oggetto de’ suoi superbi trionfi. Il quale esordio è secondo la natura di un animo passionato. Il Gargallo, invertendo l’ordine de pensieri, ne toglie la veemenza e la naturalezza.

G. C.

Omai già più non osa
Gloriarsi l’infame ospite altero
De le spartane mal tradite piume;
Non di Priamo la stirpe, a’ Numi odiosa,
Con braccio ettoreo rintuzzar presume
Le schiere achee; del guerreggiar, cui fero
Lungo nostr’ire, è alfin l’ardor sopito.
Ecco l’odio primiero
Che in me fervea sì caldo, e l’aborrito
Nipote, a cui fu madre
La troiana Vestale, io rendo al Padre.

Più non splende il famoso ospite, drudo
Della Spartana, nè più a Grecia tutta
Gli spergiuri Priamidi lo scudo
Oppongon d’Ettór; cessò la lutta
Cui fe’ lunga la nostra opra rivale.
All’avverso figliuol della Vestale
Iliaca perdono;
E l’alta ira, e il nepote a Marte io dono.

Orazio costruendo al dativo adulterae il verbo splendet, acquistò al suo pensiero una grazia nuova di stile, che manca alla strofa del Colonnetti, per altro elegante e tersissima. Il Gargallo, non pur non ne fece caso, ma tradusse tutto alla peggio. E prima, dicendo Giunone che Paride non prestigiava più gli occhi all’infida Spartana, vuol dire che egli era morto; ma perchè faceva la sviscerata de’ Greci, sceglie ad ingegno un’espressione che diminuisca il peccato di Elena, tratta a consentire in lussuria col troiano ospite per la somma bellezza, che, siccome canta Omero, lo rendeva simile a un Dio. E che non può la bellezza? Ma il Gargallo acconcia in bocca alla Diva dalle cerulee pupille una cosa non vera; cioè che Paride gloriasse d’aver viziato il talamo altrui. E d’onde sepp’egli che quel Troiano si recasse a merito le sue brutte lascivie, all’usanza dei Lazzaroni più svergognati? Con braccio ettoreo. Queste parole non possono interpretarsi che dette in modo patronimico; cioè con braccio forte come quello di Ettore; ma per opibus hectoreis s’intende, com’è chiarissimo, Ettore stesso; a cui solo Giunone attribuiva la difesa di Troia, per detrarre alla fama degli altri degni Troiani. La stirpe a’ Numi odiosa. Veggasi come la smania disonesta delle amplificazioni ha fatto volgarizzare il domus periura! Con qual fronte Giunone avrebbe potuto in pien concilio asserire la discendenza di Priamo esser odiosa agli Dei, se a molti, anzi alla metà di loro, fu sempre cara e diletta? Se ciò avesse affermato alla loro presenza, io m’imagino che l’avrebbero pettinata a mal modo; il che non accadde per lo senno d’Orazio, che le tenne la briglia; nè credo sarà accaduto alcuni anni fa, quando cicalò per la bocca del signor Gargallo, perchè tutti gli Dei di M. Varrone, adunatisi in lega, cominciavano a prepararsi alla guerra, che, a sommossa de’ romanzieri, a lor muovevano le streghe, i folletti, i lémuri e simil generazione, sbucata dalle nebbie settentrionali al puro ciclo d’Italia.