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quel valoroso, diminuisce eziandio le ragioni di proporlo a specchio di rettitudine e di costanza. Ammesso a bere è dizione trivialissima. Ber con la bocca, è ridicola; e usata dal traduttore per bieca interpretazione del concetto d’Orazio. Il quale pose ore purpureo a significare l’insigne splendore dell’aspetto d’Augusto deificato. Sai che da’ Latini eran chiamate purpuree le persone e le cose di somma venustà e grazia. Dome da ignoto giogo dice tanto meno delle parole: indocili iugum collo trahentes, quanto uno scarabocchio dell’antico Margaritone men che una pennellata del Bonarroti.

G. C.

De’ Celesti al concilio
Queste allor Giuno accolte voci aprio:
Una straniera adultera, un fatale
Giudice incestuoso in cener Ilio,
Ilio volser; d’allor che ’l disleale
Laomedonte i fabbri Dei fallio
Dell’attesa mercede a lor fatica;
Sin d’allor sacre al mio,
E a lo sdegno di Pallade pudica
Le iliache torri furo
E ’l popolo esecrato, e ’l re spergiuro.

E fu quel di che a secondar le brame
Del concilio divin Giuno dicea:
Ilio è polve, Ilio è polve, e d’un infame
Fatal giudice è colpa, e d’un Achea:
Benchè d’allor che Laomedon fallio
Della mercè gli Dei, Troia col rio
Duce fu maladetta,
E data a Palla ed alla mia vendetta.

Qui, per dir vero, si l’uno che l’altro, troppo teneri, come pare, di annodar le idee precedenti con la parlata, onde Orazio, con sì felice riuscimento, digredisce a descrivere la romana potenza, tolgono la sublime rapidità del trapasso o volo, che tu voglia dirlo: tanto più bello, quanto meno aspettato. Chiarirò la mia riflessione con un esempio. Ne’ Sepolcri del Foscolo è un luogo mirabile, ove il poeta dal monumento di Vittorio in Firenze, balza alle tombe che gli Ateniesi posero a Maratona a’ loro concittadini morti per la libertà della patria:

......Ah sì! da quella
Religiosa pace un Nume parla:
E nutría contro i Persi in Maratona...
La virtù greca e l’ira.

Se un qualcheduno (ponghiamlo tra’ romanzieri, così alti a sconciare le cose belle) volendo imitare il concetto di questi versi, dicesse: «Ah sì! da quel sepolcro un Nume favella; quel Nume che facea fremer Vittorio contra i nemici dell’Italia, e che un tempo nutriva ne’ Greci la virtù e l’ira contra i Persiani»; costui, esprimendo le idee intermedie, che il Foscolo tacque, torrebbe da questo luogo l’apparente scollegamento che lo sublima per eccellenza. Del resto la versione del Colonnetti è bella assai; e migliore per avventura sarebbe, se avesse mantenuto la forza degli epiteti pellegrina, che usò Giunone, per non dir donna greca, cioè di quella nazione ch’ella sì amava, e fraudolento, che specifica la reità di Laomedonte, di cui la Dea fa rampogna allo stesso Priamo, innocente prole di lui. Nella gargalliana le parole esecrato, fabbri, a lor fatica e il secondo d’allor son tutte borraccia; accolte è voce ambigua, perchè non s’intende se