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G. C.

Austera povertà, picciol tugurio
Avito fondo dier Camillo a Roma
Prode guerriero, e ’l buon Fabrizio, e Curio
Da l’irta chioma.

Nè Fabrizio, nè Curio irto, o Camillo
Taccia, cui crebbe ai lauri l’incallito
Viver aspro, e l’umil Lare tranquillo
Nel fondo avilo.

Il dire Curio irto è più forte, che Curio dall’irta chioma; crebbe ai lauri più poetico e più elegante, che diedero a Roma guerriero; e saeva paupertas è meglio tradotta da viver aspro, che da povertà austera. Notisi in fine con quale accorgimento il Colonnetti conservi l’urbanità di stile, che, come ho premesso, è sì nativa nel Venosino, traducendo le parole avitus apto cum lare fundus. Così non fece il Gargallo; però che quel suo tugurio offende Camillo e l’elevatezza dell’argomento, porgendoci idee di rusticità e di disagio, mal convenienti all’abitazione di quel pro’ cittadino. Tugurio presso i Latini valeva capanna; quindi Virgilio: Pauperis et tuguri congestum cespite culmen: presso noi dinota qualunque casaccia di gente poverissima e abbietta; e l’uso lo prende sempre in cattiva parte.

G. C.

Qual arbor, che insensibil forza aduna
Dagli anni, il nome di Marcel si stende:
Di Giulio l’astro, qual fra stelle luna,
Fra tutti splende.

La fama di Marcello in alto tende,
Qual per virtù secreta un’arbor bella;
Qual Cinzia fra i minor’ lumi risplende
La Giulia stella.

La seconda versione è in tutto e per tutto esatta, nobile ed elegante. E della prima che ti pare, o Giovanni? Quanto a me, passando in silenzio il brutto lamdacismo stelle luna, dirò primamente essere cosa molto diversa astro Giulio (denotativo il giovine Marcello, o Marcellotto, come lo chiama Vittorio) da astro di Giulio; che non potrebbe fare altra allusione, salvo ad un punto della pagana teologia, risguardante il destino d’ogni uomo: per cui venne quella sciocca superstizione di recar alle stelle ogni umana ventura e disavventura. Oltreciò la pittoresca espressione: velut inter ignes luna minores, che accende nella nostra fantasia le migliaia di stelle tremolanti in un bel plenilunio per tutti i seni del cielo, questa espressione, io dico, è dilavata dalla comunissima: qual fra stelle luna. Il vocabolo ignes sveglia più vivamente e più presto l’imagine dello splendore; e il comparativo minores fa grandeggiare il subbietto della similitudine.

G. C.

Saturnio Dio, padre e tutor degli uomini,
Fato commise a te serbare al mondo
Il gran Cesare, e a noi; Cesare domini
A te secondo.

Tu che Cesar dai fati in guardia tegni,
O padre delle genti e re del mondo,
Regna, o Saturnio, ed il gran Cesar regni
A te secondo:

La strofa del Colonnetti è bella per ogni rispetto; sebbene avrei desiderato che non vi fosse il durissimo accozzamento delle due erre nelle parole Cesar regni. In quella del Gargallo la voce Dio è inutile; tutore è voce prosastica, la quale avvilisce il concetto oraziano, massime per lo molto e trito uso che se ne fa oggi ne’ tribunali; e il terzo verso è una sconciatura sì fatta, che non l’accetterebbe per sua nè pure il camarlingo delle goffaggini letterarie...