Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
73 |
Venezia, 8 termidoro anno 4 (26 Luglio 1796)
XLII - Al Generalissimo Bonaparte.
Jeri ebbi col Sig. Pesaro una conferenza, della quale credo dovervi dar parte sollecitamente. Noi avevamo da trattare di alcuni affari particolari; ma egli fu premuroso d’intrattenermi sopra di un soggetto che sembravagli molto più importante. Era questo il timor grave da lui e dai principali membri del Collegio concetto di veder ben presto la Repubblica di Venezia in guerra con noi. Egli mi disse, che secondo le novelle che ricevute aveva da Verona, voi avevate manifestato assai chiaramente l’intenzione d’intimargliela; avevate dimostrato a quegli che fa le veci di Provveditor generale l’animo vostro sommamente disgustato contro Venezia: fattogli richieste, alle quali era impossibile sodisfar sull’istante, e nondimeno minacciato avevate di trattar da nemici i Veneziani, se non ottenevate tosto ciò che da voi chiedevasi; che d’altronde erasi incominciato in varj luoghi, a far uso di un gran rigore verso i privati, e che finalmente voi avevate espressamente annunziato, che se Venezia non deponeva le armi entro un brevissimo termine, le intimereste effettivamente la guerra.
Dopo avermi esposto in tal modo le cagioni de’ suoi timori, entrò in assai lunghe particolarità giustificative; mi rappresentò che da poi che l’esercito francese era entrato negli Stati di Venezia, il suo governo erasi fatto, come egli diceva, un dovere ed un piacere di condiscendere ai vostri ordinamenti ed alle vostre richieste; e se di più non aveva fatto, ciò era da apporsi al mancar di mezzi, o alla necessità in che si trovava di evitare di compromettersi in faccia alle altre potenze belligeranti, dalle quali nondimeno riceveva di continuo vivissimi rimproveri: che noi potevamo, è vero, aver avuto ragion di dolerci dei sentimenti, non meno che del procedere di diversi privati, ma che il Governo di Venezia aveva confidato che rivolgendo la nostra attenzione alla condotta da esso tenuta, noi non avremmo giudicato dei suoi principj e de’ suoi disegni dal contegno indi-