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Ma ha bisogno ancora di tutta la volenterosa opera di coloro, a cui non è dato di versare il proprio sangue per la Patria. Non bastano, o signori, e lasciatemi dire, o amici di Napoli, poichè nei sentimenti comuni l’amicizia si cimenta e si confonde; non bastano le vittorie delle battaglie. La guerra può essere anche aspra, può essere ancora lunga; per vincerla noi dobbiamo far sì che nel paese si mantenga sempre ardente e sicura ed alta l’idea della giustizia della nostra guerra Se così non fosse, ammirabile pur sempre sarebbe il valore dei nostri combattenti, ma non sarebbe sicura la compattezza della Nazione fino al giorno della vittoria. Perciò fatevi tutti, come foste finora, proseguitori continui dell’idea generatrice, fomentatrice, giustificatrice, sostenitrice della guerra dell’Italia, che è la guerra della civiltà. Non è soltanto cingendo di alloro la fronte dei combattenti, che poi possiamo pagare ad essi il nostro sacro debito di riconoscenza: sì bene ancora pensando, come appunto voi faceste, alle famiglie loro.

Io penso che lo Stato italiano è pienamente compreso di questo mio pensiero. Certo in tutto concordi con me sono i miei colleghi; che oggi siedono in mezzo a voi; o governino le armi valorosamente, o tengano la bilancia della giustizia sapientemente, o preparino nella scuola l’avvenire del Paese, o sul movimento dei nostri commerci e delle nostre comunicazioni, promuovano la prosperità della Patria, o volgendo lo sguardo alle lontane colonie ne preparino le più vaste fortune avvenire, o siano dotti giureconsulti, i quali uniscano, come lo Scialoja, alla sapienza del Diritto, le memorie del liberalismo napolitano. L’Italia doveva fare la guerra che noi com-