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siglieri si levano in piedi ed applaudono. Grida, di: Viva l’Esercito! Viva Boselli!).

Continuando, egli invia un saluto alle famiglie dei nostri soldati caduti: «Ad essi, egli dice, tutto il nostro plauso, un plauso che è vibrante di gloria, ma che nell’intime fibre dell’animo nostro ha un senso di dolore per le famiglie che rimpiangono gli estinti; per le famiglie alle quali noi mandiamo il saluto, non dico del rimpianto, perchè non può essere pianto chi muore per la patria, ma il saluto dell’affetto, della riconoscenza, della fraternità nostra e di tutta la nazione italiana.» (Applausi).

Afferma che lo Stato deve sentire e sente i doveri che ha verso queste famiglie e assicura che li adempirà. (Bene).

Egli fu chiamato a far opera di concordia nazionale per la guerra italiana e per la guerra della civiltà: concordia che deve essere guida continua del Governo, perchè in così gravi cimenti non vi può essere divisione se non fra coloro che amano la patria e quelli che non l’amano, fra quelli che hanno ferma fiducia nella sua fortuna e quei pochi — se pur esistono — che per la patria rimangono indifferenti.

Di questa concordia dà fulgidissimo esempio tutta la storia del Piemonte, onde nelle prove del 1706 e del 1859 la santità della patria potè stringere in un solo magnifico fascio di forze Principi e popoli, cittadini e combattenti: nel 1706 per difendere la città da un formidabile assedio, nel 1859 per redimere dallo straniero la grande patria italiana. (Applausi).

Un solo dev’essere in questo momento il pensiero di tutti: la vittoria per la rivendicazione dei nostri diritti, la vittoria della civiltà, quella vittoria cioè che ci rende