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Il momento della compiuta liberazione è ormai giunto; e presto, colla gloria del Diritto e della Patria, tornerà la pace del lavoro, la pace dei domestici focolari.

Oggi dalle più umili case alla reggia vi sono ansie di spose e di madri. Ma sono forti le donne italiane. A tutte il nostro saluto di amore e di augurio: a quelle segnatamente cui è più che raddoppiata la fatica dei campi e reso più scarso il compenso, a quelle che in ogni maniera di lavoro e di disagio più stentano e più soffrono.

Mirino tutte le donne italiane all’augusta Regina, pietosa nelle opere consolatrici, consapevole, per virtù della sua stirpe, delle lotte sublimi onde si suggella l’indipendenza dei popoli: mirino all’augusta Madre, alla figlia del cavalleresco eroe di Peschiera, la quale, perchè sa tutte le ispirazioni del genio italico, sente tutti gl’impulsi delle rivendicazioni nazionali (Approvazioni).

In quella che i nostri alpini rinnovano i miracoli loro, e le nostre artiglierie formidabili incalzano, e i cavalieri di Montebello risalgono in sella, e il nerbo delle milizie indomito si avanza, e i nostri marinai confidano all’Adriatico l’invocazione delle gesta gloriose, sembra, onorevoli colleghi, che una visione di poesia italiana accenda il nostro pensiero. E Antonio Rosmini benedice da Rovereto, e gli echi risvegliano i canti di Giovanni Prati, e Niccolò Tommaseo attende in Dalmazia (Benissimo!).

Nè è tutta fantasia, onorevoli colleghi. Sono memorie codeste che significano ed affermano l’italianità perpetua del genio e della stirpe. Sono memorie che si accordano colla felice vocazione dei giorni nostri, nei quali