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generale buon indice delle nostre condizioni economiche.

Perseverando nella via di quella finanza austera, ma salutare, che pone a riscontro dei nuovi debiti i mezzi bastevoli per soddisfarne gli interessi, fu mestieri chiedere al popolo italiano nuovi sacrifici che esso sopporta colla mirabile perfezione del suo patriottismo; poiché l’Italia sa che solamente colla costanza dei sacrifici si manterrà il credito pubblico fino alla compiuta vittoria.

Verrà dopo la guerra dinanzi al Parlamento quella riforma, argomento oggi di ponderati studi, che ponga la finanza sopra una bene accertata e bene ripartita contribuzione dei redditi effettivi.

Nei provvedimenti da noi deliberati si mirò a contemperare le esigenze dell’Erario coi principi supremi della giustizia sociale. Non si aggravarono i consumi necessari; non si turbò lo svolgimento della vita economica interna; si elevarono i minimi delle esenzioni; si offrì qualche beneficio alle finanze comunali, e si scansò di creare nuovi uffici e nuovi impiegati in servigio dell’accresciuta azione tributaria. Reputammo giusto 1 elevare la ragione del tributo, istituito, nel nostro come negli altri Stati che sono in guerra, sopra quei profitti repentini ed eccezionali che la guerra suscita nelle varie produzioni e nei traffici.

Intanto la pubblica finanza fu tratta a nuove, inevitabili, urgenti spese. Ci affrettammo a restaurare adeguatamente i danni che i terremoti sparsero nelle provincie di Forlì e di Pesaro. Convenienti ed opportuni aiuti sostennero i desolati agricoltori delle Puglie. Agevolazioni amministrative furono pure consentite per i