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bellici, col pensiero desideroso, viviamo queste ore memorande vicino ai meravigliosi guerrieri di Verdun, agl’intrepidi figli dell’Inghilterra, alle fitte legioni dell’amica Russia, agli arditi manipoli del paese di Camoens, ai sanguinanti serbi dispersi: ai martiri eroici di quel Belgio che attende la sua giusta ed immancabile liberazione.
Sui campi di battaglia, o amici milanesi, non solamente si combattono le sante lotte della libertà e della civiltà, ma si temprano nuove energie, si accendono nuove idealità, si dà vita ad un nuovo senso politico e si rinsaldano, in nuovo equilibrio, le diverse classi sociali e le diverse provincie d’Italia, alle quali, dalla ridesta coscienza dei guerrieri vittoriosi, scenderanno larghe correnti rinnovatrici di pensiero e di volontà.
Vi pensi il paese.
Il Governo sa quali provvidenze domandino le sorti del lavoro nazionale: sa che l’Italia, risuggellando con la guerra la sua unità, deve trovare nei reggimenti locali - regionali, provinciali, comunali, - nuova espressione di libertà e di autonomia; sa che la scuola deve essere rinvigorita, rinfrescandosi di atteggiamenti più giovevoli al progresso industriale del paese; sa quali obblighi abbia e debba adempiere, verso gli orfani dei caduti, che sono orfani della Patria: verso i mutilati e gli invalidi ai quali si deve assicurare una nuova esistenza.
Il Governo sa pure che deve provvedere alle condizioni troppo dimenticate dei contadini italiani, i quali, o amici milanesi, mentre io parlo, combattono e muoiono insieme coi cittadini delle altre classi.