Pagina:Bonvesin de la Riva - Meraviglie di Milano.djvu/14


xv


lano. Si formò così una lingua letteraria diversa dai dialetti parlati nei singoli territori, con caratteri comuni quantunque in certe parti tenesse or dell’uno or dell’altro secondo la patria dello scrittore.

Trovata la lingua sgorgò dal cuore del popolo una larga vena di poesia nuova, differente non solo da quella cortigiana e cavalleresca, ma anche da quella popolare che anche in Sicilia e in Toscana si faceva strada sempre inspirandosi all’amore e ai piaceri: una poesia prevalentemente religiosa e morale. E i poeti furon parecchi: un anonimo genovese volgeva nel novello idioma le vite dei santi, fra Giacomino da Verona faceva una di quelle descrizioni del paradiso e dell’inferno che tanto piacquero al medio evo, non priva di qualche bellezza, specialmente per l’avvicendarsi di scene ora spaventose ora grottesche come quella, per esempio, dove son descritti i diavoli occupati a martoriare i dannati:


     Li cria li diavoli tutti a somma festa:
«Astica, astica fogo! dolenti ki n’aspeta».
Mo ben dové saver en que modo se deleta
li mise peccaor c’atendo cotal festa.
     L’un diavolo cria, l’altro ge respondo,
l’altro bato ferro e l’altro cola bronco,
E altri astica fogo et altri corro entorno
Per dar al pecaor rea noite e reo corno.

Un anonimo bergamasco versificava la salve regina e il decalogo: