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Dall'ultimo teorema si deduce l'equidistanza di due parallele. Fra le conseguenze più notevoli di questa teoria si trovano il noto teorema sulla somma degli angoli d'un triangolo e le proprietà delle figure simili.

§ 2. Fino i più antichi commentatori del testo euclideo ritennero che il V postulato non fosse abbastanza evidente per accettarlo senza dimostrazione, per cui essi cercarono di dedurlo come conseguenza di altre proposizioni. Per raggiungere lo scopo sostituirono talvolta la definizione euclidea di parallele, di forma grammaticale negativa, con altre definizioni, che non presentano detta forma, ritenuta difettosa.

Proclo [410-485], nel suo Commento al I libro di Euclide1 , ci trasmette preziose notizie circa i primi tentativi fatti in proposito. Riferisce, ad esempio, che Posidonio [I° secolo a. C.] aveva proposto di chiamare parallele due rette coplanari ed equidistanti. Questa definizione e quella euclidea corrispondono però a due fatti che possono presentarsi separatamente, e Proclo [pag. 177], riferendosi ad una trattazione di Gemino [1° sec. a. C.] adduce in proposito gli esempi dell'iperbole, della concoide e del loro comportarsi rispetto ai relativi asintoti, per far vedere che vi potrebbero essere linee parallele nel senso euclideo, cioè linee che prolungate all'infinito non s'incontrano, e tuttavia non parallele nel senso di Posidonio, cioè non equidistanti.

Tale fatto è qualificato da Gemino, sempre al dire di Proclo, come il più paradossale [παραδοξότατον] di tutta la geometria.

Volendo poi accordare la definizione euclidea con quella di Posidonio è necessario dimostrare che due rette coplanari

  1. Per quanto riguarda il testo di Proclo ci riferiremo all'edizione curata da G. Friedlein: Procli Diadochi in primum Euclidis elementorum librum Commentarii [Lipsia, Teubner, 1873].