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tali modificazioni, che costituiscono una vera deturpazione del testo, s’era accorto, nella sua edizione del 1703, il Pegolotti, che volle perciٍ ricondurre la Filli a più sana lezione, risalendo « agli originali»: il che non impedí che parecchi altri più tardi conti- nuassero a riprodurre gli errori e le arbitrarie aggiunte dell’edi- zione veneziana. Quanto al Pegolotti, un attento esame ci ha per- suasi che quando egli parla di « originali » non allude (come qualcuno poi ha inteso) all’autografo del Bonarelli(i), di cui nulla sappiamo, ma semplicemente alla prima edizione, non senza pur lui cadere in parecchie scorrezioni e sviste. Per tutto questo noi ab- biamo creduto conveniente di attenerci alla prima stampa ferrarese, pur non trascurando le altre, specie in quei luoghi dov’essa pre- sentava evidenti errori. È noto come una delle invenzioni più ingegnose della favola, e più rispondenti al gusto dei tempi, apparve ai contemporanei quella per cui nel cuore della ninfa Celia s’accende contempora- neamente e con eguale intensità l’affetto per due pastori, ond’ella, non sapendo come uscire da si angoscioso contrasto, tenta di darsi la morte. Non pare perٍ che a tutti piacesse un’invenzione sif- erano l’api, i fiori, il mele e i favi. Onde già si vedea per soverchia dolcezza entro a’ begli occhi ،illanguidir le luci, e fra me dissi: — Oimè, certo costoro morran, se non che forse là per mezzo il furor di tanti baci non puٍ trovare strada onde l’alma sen vada. — E ancora dopo il verso 210: Oh te felice, Aminia I Ecco pur tu serbando d’amicizia e d’amor le leggi intiere fra gli amici e gli amanti puoi far pompa di gioie. O tu Celia felice I Ecco fu pur il cielo del tuo turbato core vagheggiator pietoso. (1) Campori, op. cit., p. 56.