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fuor de la fatai porta;
fate, o sospiri, a’ miei lamenti scorta.
— O dea figlia del Sole,
unica speme a le mie piaghe acerbe,
odi le mie parole,
tu, cui i magici incanti
tutti son noti e le virtù de l’erbe,
e strugger l’alme puoi d’aspri diamanti:
se favilla pietosa
t’accese mai l’alma ad amor soggetta,
a mia vita penosa
non sia dal tuo poter grazia interdetta.
O bella Circe e cara,
di tue mille virtù gli almi tesori
dai paterni splendori
di compartirne altrui pietosa impara.
Mira com’ei comparte
di sua luce immortale il raggio ardente
agli eoi d’oriente,
e sotto ? plaustro a la gelata parte,
a l’indico occidente,
e dove di più ardor fervon ripiene
sotto ? suo carro l’affricane arene.
Né men ei colorisce
nel bel sereno cielo
gli aurei piropi de la notte algente,
come ancor n’abbellisce
su bel fiorito prato
d’aureo candore il mattutino gelo.
L’infruttuoso faggio
ed il mirto odorato
provan eguai ardor dal suo bel raggio.
Cosi tu non negare
un raggio di pietate ai desir miei,
bench’io tra i sommi dei
non goda in ciel l’aure felici e chiare;