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          vagar quasi negletta,
          ché ai magisteri miei,
          intenti tutti a’ compartiti uffici,
          tengo mille ministri e mille ancelle.
          La Finzione io son, quella son io
          ch’ebbi vita col mondo.
          S’a me cotanto lice
          finger in parte ed adombrare il vero
          de l’origine mia, de le mie lodi,
          dirٍ, se lice. E che son altro mai
          le varie forme e tante, ond’è dipinto,
          che del Fabro celeste
          scolpite idee fuor de la mente eterna,
          quai produr non potea
          fuor di sé eguali a la sua propria essenza?
          Cosi quasi pingendo le ritrasse
          ne l’essenza creata,
          imagini men pure e men perfette,
          ove risplende foscamente il vivo
          de l’eterna bellezza.
          E che? forse io non sono
          ai magisteri suoi fida ministra,
          mentre l’occulto in su le sacre carte
          con figurati enigmi, e spesso il chiamo
          o colomba amorosa, aquila o pardo?
          Se le vittime sacre
          tra gli accesi carbon di rogo ardente
          su l’are inceneri fiamma vorace,
          fur simulacri finti,
          ché lor vecchio costume
          ne’ barbarici riti anco si serba.
          E pur han viva forza
          di preghiere e di voti
          col suo muto spirar fumi odorati
          e l’arabiche mirre e i sacri incensi.
          Da me prima impararo