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chi m’asciuga o m’indora
questo già d’aspre grandini e di nebbie
pur ora umido manto, oscuro crine?
e qual luce novella
a cangiar qualità tutta mi sforza?
Ecco non più turbato
ride il ciel, ridon l’acque,
e la terra fiorita
apre ai parti odorati il ricco seno,
emulator del mio stellante aprile.
Altro di tempestoso
qui più non veggo o sento,
che baleni d’onore
e fulmini d’Amore.
Oh miracol gentile! Or che non puote
di divina beltà forza infinita?
Tutto è vostra mercé, luci beate:
ne’ vostri archi pacifici e sereni
splender si vede un’ iride benigna,
tranquillatrice d’anime e di cori,
non che di venti e d’onde.
Oh, ma che raggio è quel che mi saetta?
che folgore, che lampo
mi dل luce in un punto e mi fa cieca?
Ahi, che se ben di mille occhi gemmati,
quasi immenso pavon, roto la pompa,
mancano tutti a si sfrenato oggetto:
e vaga pur di vagheggiar si chiaro
paradiso di grazie e di bellezze,
altrettanti ne bramo.
Ma veggio omai che ? Sol, pittore eterno,
si leva e sorge a miniare il cielo;
ed ecco già che, intinto
il pennel de la luce
ne’ color de l’aurora,
mesce con varie tempre i lumi e l’ombre,