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se stesso amato non è altro che noi stessi. Ma che dico io che nell’amor amiam noi stessi e non altrui? Anzi nel- l’amore perdiamo noi stessi per altrui. È vero: ma perdiam noi stessi in altrui. Questo è ben luogo ov’io mi tratterrei volentieri, esagerando contra la maligna condizione di questo amore; il quale benché sia amor di noi stessi, nondimeno con l’amor d’altrui n’induce nell’odio di noi stessi, onde quel poverello innamorato andava gridando: ed ho in odio me stesso, ed amo altrui. (Petrarca). Ma non ho tempo di far qui indugio. In somma, nel- 1 l’amor d’amore l’amante non ama per se stesso altrui che se stesso: questo è l’amor solo, questo è l’oggetto solo, questo è l’ultimo fine, al quale sono ordinate tutte l’altre cose che vengono da lui, comunque sia, amorosamente amate: ma la persona ch’egli ama, egli l’ama non per lei, ma per sé, in quanto da lei gli vien diletto; e perٍ possono esser più d’una, e non l’una ordinata all’altra, ma ciascuna a lui stesso; ed esser da lui perfettamente amate, quanto possono esser per- fettamente amate quelle cose che non per se stesse, ma per altrui sono amate. Ch’è quanto abbiam creduto doversi dire intorno alla risposta del terzo argomento, preso dalla natura della perfezione. Vili. Si propone il quarto argomento, preso dalla DEBOLEZZA DELLE POTENZE NATURALI, E SE GLI RISPONDE. — Resta il quarto ed ultimo argomento, il più brieve e ? più agevole di tutti gli altri. Ma perché pare egli aver fondamento nell’autorità d’Aristotale, non abbiam voluto trapassarlo. Vo- lendo adunque Aristotale provar che non si possono aver molti amici (nell’ottavo dell’Etica al cap. 6), la perfetta ami- cizia, dice egli, è simile all’amore, perché ambidue portan seco una cotale soprabbondanza, un cotale eccesso d’affetto. Ma la soprabbondanza, soggiugne egli, è d’intorno ad uno,