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ATTO PRIMO I7
mi diedi a solazzar con quel mio capro
che già tutte solea
consolar le mie pene,
mentre io non ebbi inconsolabil pena.
Questa fera gentile, ? ’? sua sembianza
la mia crudel fortuna, in mille guise
co’ suoi scherzi mi trasse infin al lido,
là ’ve si presso al bosco il mar s’avanza,
che va l’ombra a nuotar, vien l’onda a l’ombra.
Or quivi mentre i’ colgo
le vergate conchiglie
per intrecciarne un bel col laro al capro,
eccomi dietro un trito calpestio
di corrente animale;
e volgo gli occhi appena,
ch’a le spalle mi veggio
non so se uomo o fera,
che nel furor del corso
le più minute arene
co’ pie mi sparse al volto.
Quinci gli occhi serrando,
senza veder da cui,
sento, lassa, rapirmi.
Volli gridar, ma non ardi la voce
d’uscir, che per timore
fuggí tacita al core.
Ond’ io, già quasi morta,
non prima in me rivenni,
che mi vidi portata in mezzo al bosco;
vidimi fatta, oimè, d’orribil mostro
inevitabil preda:
mi vidi (e tremo a rimembrarlo) in braccio
a quel centauro, a quello
che potrai ben (se tanto
avrai di cor negli occhi),
veder tu stessa al tempio.
G. BoNARELLi, Filli di Sciro. a