Pagina:Bonarelli, Guidubaldo – Filli di Sciro, 1941 – BEIC 1774985.djvu/196

ragioni che ne adducemmo parvero buone. Or ascoltate, signore, (che con voi sole ragiono), ed ascoltate volentieri, perché in vostra difesa ragiono. Che se ci pur fosse qualche troppo filo- sَfico amante, il qual con le ragioni, che dianzi da Aristotale e da altrui apportammo, volesse esser con alcuna di voi del tributo dell’amorosa corrispondenza troppo rigoroso ed impor- tuno esattore, è ben ragione che sappiate schernir l’arte con l’arte, e dalla filosofia con la filosofia difendervi. Vegna dunque chi che sia, e dicavi: — Signora, io v’amo: amatemi dunque. 10 v’amo, e sento da un’occulta violenza verso di voi l’anima mia dolcemente rapita: questa non puٍ esser altro che la forza di qualche similitudine, e’ha fra noi posta il cielo, la stella, il genio, o che so io? Tutti i filosofi il dicono. Ma come esser puٍ che quella similitudine che si fortemente all’amor vostro mi rapisce, voi punto non muova? Io v’amo, amatemi dunque. Io v’amo, e qualunque sia la cagion dell’amor mio, l’amor è beneficio, Aristotale il dice: ed è beneficio grande, Aristo- tale il dice. Dunque la gratitudine ne vuoi la ricompensa o maggiore od eguale, Aristotale il dice: ed all’amore non è cosa altra eguale se non l’amore: rendetemi dunque amor per amore. Io v’amo, amatemi dunque. —Ma voi, a passo a passo la costui temerità ributtando, si gli dite: — O buon logico d’amore, voi mi amate, ed io non v’amo: voi vi sentite vio- lentare, io non mi sento muovere. Il ciel, la stella, il genio vi sforza, me né pur inclina. Forse che, troppo oziosamente vivendo, siete troppo esposto a tutte le naturali impressioni: voi sentite tutti gl’influssi del cielo, tutti i movimenti di na- tura, perché non siete a cose maggiori intento. Chi senza far nulla stassi, in sul meriggio della state, all’occhio del sole, chi non sa che vi si dilegua, e noi puٍ sofferire? lad- dove il faticoso mietitore con la falce in mano, ancorché tutto d’ogn’intorno avvampi l’arsura del cielo, o non la sente, o non la stima. Ed io mentre con l’ago in mano a’ miei trapunti (che son le mie cure maggiori) mi truovo intenta, puٍ ben avventarne quanto vuole il cielo, che i suoi amorosi influssi non sento. Né voi, a lo strepito dell’armi o in altri