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la beltà divina, e con maggior impeto esser rapito all’amor di quella. Ma tale certo non è alcun soggetto solo. Signore, io non vi lusingo: ciascuna di voi è bella quanto ella stessa se ? crede, che non si puٍ dir d’avvantaggio. Ma che? pren- dete pure tutte le perfezioni della bellezza umana, che seppe descriver Policleto, formatene la statua ch’egli ne fabbricٍ, aggiugnetele dal cielo lo spirito della vita: ad ogni modo rispetto alla beltà divina non sarà bella. Qui non convien d’ingannarsi: non è quaggiù fra noi mortali, e non ci puٍ esser, alcun soggetto che in sé contenga se non poche e mi- nute forme di bellezza. Perché dunque mirar un solo, amar un solo, se alcun non è che in sé solo abbia tanta bellezza che possa rappresentarci, se non oscuramente, alcuna parti- cella della beltà divina, e di lei se non freddamente innamo- rarci? Più sano consiglio è di mirarne molti, amarne molti, per poter da tutti insieme formar della divina bellezza quel simulacro che un solo non è atto ad esprimere. Non è chi non sappia che Zeusi, volendo ritrar non so se Venere o Giu- none, non si contentٍ di prenderne le sembianze da una donna sola: molte volle vederne ignude, per ،sceglier da questa e da quella tutte le bellezze che in una sola trovar non si po- teano, e che pur tutte alla dea si convenivano. Imperfetta pittura veramente, manchevol ritratto, imprudente dipintore sarebbe stato Zeusi, quando per rappresentar la bellissima dea, che in sé tutte le ragioni della bellezza perfettamente contiene, avesse voluto affisarsi e prenderne l’esempio da una sola donnicciuola mortale, a cui il ciel non da le bellezze se non a minuto. E tale appunto è l’imprudenza di coloro i quali, ambiziosi di non so che nome vanissimo di leale amante, fan profession di non vagheggiar ed amar altro che in un volto solo una bellezza fallita. E col Petrarca se ne vantano, dicendo: e sol ad una imagine m’attegno, che non fé’ Zeusi o Prasitele o Fidia.